Chiave di volta

Luciana Riommi

non ricordo la prima pietra
ma quella che poi fu chiave di volta
di questa cattedrale costruita sull’argilla
e quel sussulto che l’ha buttata giù.

Immagine: Anselm Kiefer, Tikkum, 2004.

accomodarsi a lato di una sedia

Luciana Riommi

accomodarsi a lato di una sedia
dove ripiega il fumo
e si solleva polvere dal tempo
invecchiata, la polvere, come ogni cosa qui,
sai, come invecchia il tempo.
un po’ mi fa sorridere la scena,
quella tristezza, in fondo quel morire.

Immagine: Man Ray, Allevamento di polvere, 1920. Dettaglio del Grande vetro di Marcel Duchamp.

blank

Luciana Riommi

se riesci a vedere il bianco – blank, il vuoto –
a sentire il silenzio che ha da dire
incontrerai l’assenza.
ma non è un gioco di società.

Immagine: Ha Chong-Hyun, Conjunction 03-8, 2003.

o non era un sentimento?

Luciana Riommi

l’ingenuità lo sai quant’è impudica
a mani nude sulla vita
col sentimento che fosse già finita


o non era un sentimento? dimmi tu.
lo sai, sull’argomento c’è tanta imprecisione.

Immagine: Yoshitaka Kashima‎

narrazioni

Luciana Riommi

a sentirla raccontare sembra tutta un’altra storia,
ma è teatro di ologrammi
solo sembianze prive di memoria
non identità
e desiderio assurdo di un’assurda nostalgia
nostos il ritorno
sulle tracce di niente – verso casa? –
a cosa non è stato e non sarà.
oggi, semplicemente mai.

Immagine: SMALLEY HOLOGRAPHY GROUP

curiosità

Luciana Riommi

forse è l’idea che non c’è niente da capire
a generare questo pensare infertile
o l’arroganza che crede di sapere
ma non sa quant’è violenta una parola sempre uguale.
nell’artefatto dell’amore, per esempio,
dove amare si scambia con avere,
consumarsi a sazietà.
comunque nel disamore non c’è mai curiosità.

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q. b.

Luciana Riommi

non sia mai sprecare una parola
e in virtù di tanto spreco
quanto basta
come un pizzico di sale
al condimento della pasta.

non puoi guardare in faccia la poesia
sai che domani sarà già stantia.

Immagine: Ralph Gibson

in questo cono d’ombra

Luciana Riommi

non m’importa sapere se ci sono ancora
– le stelle, dico – che non vedo più lassù
nel buio finto, cieco, dove sarebbero
se non fossimo in città.
l’immaginario vede ciò che vuole
un po’ con la memoria, di più con l’invenzione.
ma poi, davvero, che mi cambia
in questo cono d’ombra che assomiglia a cecità?

Immagine: Sarale Elbar

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