
A un primo sguardo è difficile capire, dalla foto, cosa stia succedendo. Un fungo gigante sembra essere germogliato sul pavimento della centrale, dove sono all’opera uomini dall’aria spettrale. È noto come il Piede d’Elefante, in grado di uccidere chiunque in un paio di minuti.
da un articolo di David Goldenberg
24 gennaio 2016, aggiornato ad agosto 2022
Atlas Obscura, 19 ottobre 2022
Immagine: Chernobyl, l’ispettore Artur Korneyev di fronte alla lava del “piede d’elefante”, 1996. Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti.
Nei giorni e nelle settimane successive al disastro nucleare di Chernobyl a fine aprile del 1986, il semplice fatto di trovarsi nelle vicinanze con questo ammasso particolare di materiale radioattivo, il corio, avrebbe ucciso chiunque in un paio di minuti.
Perfino dopo dieci anni, quando è stata scattata questa immagine, deve aver rovinato la pellicola, che ha una qualità sgranata. L’uomo nella foto, Artur Korneyev, probabilmente ha visitato l’area più di chiunque altro, esponendosi di conseguenza a un’enorme quantità di radiazioni.
Ed è probabilmente, e sorprendentemente, ancora vivo.

Chernobyl, il corio fuoriesce come lava dal reattore. La valvola era stata installata per il passaggio del vapore. PNNL LIBRARY.
La storia di come gli Stati Uniti abbiano ottenuto questa rara fotografia di un uomo vicino a questo materiale incredibilmente tossico è in se stessa un mistero, quasi quanto il motivo per cui qualcuno si fa quello che è sostanzialmente un selfie con un impasto fuso di materiale radioattivo raffreddato, nell’epicentro del disastro nucleare di Chernobyl.
La foto arrivò per la prima volta in America alla fine degli anni Novanta, dopo che il nuovo governo indipendente ucraino prese il controllo dell’impianto e istituì il Centro di Chernobyl per la Sicurezza Nucleare, le Scorie Radioattive e la Radioecologia (Chornobyl* Center for Nuclear Safety, Radioactive Waste and Radioecology). Poco dopo, il centro invitò altri governi a collaborare su progetti di sicurezza nucleare. E ai fini della collaborazione, il Dipartimento per l’Energia statunitense controlla i Pacific Northwest National Laboratories (PNNL) – un importante centro di ricerca scientifica di Richland, Washington.
All’epoca, Tim Ledbetter lavorava da relativamente poco tempo nel dipartimento IT dei PNNL con l’incarico di creare una biblioteca fotografica digitale a disposizione del Progetto Internazionale sulla Sicurezza Nucleare del Dipartimento sull’Energia. Alcuni membri del progetto andarono in Ucraina a scattare foto, lui assunse un fotografo freelance per raccogliere altre immagini e ne chiese ai colleghi ucraini del Centro di Chornobyl* . In mezzo a centinaia di immagini di strette di mano burocratiche e persone col camice da laboratorio, ce n’erano più o meno una dozzina scattate tra i detriti dell’Unità 4, dove dieci anni prima, il 26 aprile del 1986, un reattore era esploso durante un test.
* grafia ucraina
… il reattore 4 della centrale nucleare VI Lenin, nei pressi della città ucraina di Pripyat, fu sottoposto a uno sbalzo di tensione durante un normale test di sicurezza dei sistemi. Ciò ha causato il surriscaldamento delle barre di uranio combustibile nella loro acqua di raffreddamento, generando un’immensa quantità di vapore e pressione. Questo provocò un’esplosione colossale, seguita da una seconda esplosione poco dopo, causando la formazione di materiale radioattivo nell’atmosfera e la cessazione del flusso di refrigerante che doveva raffreddare il reattore.
Come suggerisce il termine “fusione”, questa serie di concause, generò abbastanza energia termica per fondere letteralmente il nucleo del reattore e le sue barre di combustibile nucleare. Questo inferno ha prodotto un materiale fuso che trasudava e scorreva come lava emettendo livelli mortali di radiazioni ionizzanti. Mentre la catastrofe continuava ad andare di male in peggio, questa lava mortale sciolse un buco attraverso le travi di acciaio e il cemento sotto il reattore, cadendo nel seminterrato, dove alla fine si raffreddò e si indurì.
da blueplanetheart.it
[…] Ledbetter non è in grado di ricordare esattamente la provenienza delle immagini. Finì di completare la biblioteca quasi vent’anni fa e il sito in cui si trovano non è in un buono stato di manutenzione: restano solo le anteprime delle immagini. Ma è sicuro di non aver mai assunto qualcuno per fotografare il Piede d’Elefante, quindi quelle foto erano state probabilmente mandate da un collega ucraino.

Chernobyl, un’immagine zoomata di Artur Korneyev consente di esaminare il modo in cui la foto fu scattata.
Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti.
Nel 2013, al giornalista americano Kyle Hill capitò di vedere l’immagine, che era stata condivisa numerose volte su internet, mentre scriveva un pezzo sul Piede d’Elefante per la rivista Nautilus e risalì al vecchio sito dei PNNL. Cercando ulteriori dettagli riuscì a trovare la didascalia originale della fotografia, che recitava: «Artur Korneev, vice direttore di Shelter Object, mentre osserva il flusso di lava del “piede di Elefante”, Chernobyl NPP. Fotografo: Sconosciuto, scatto del 1996». Si scoprì successivamente che il vero cognome non era Korneev, ma Korneyev. Ledbetter confermò che lo scatto corrispondeva alla fotografia.
Artur Korneyev è un ispettore nucleare kazako che ha lavorato per informare le persone sul Piede d’Elefante e proteggerle fin dalla sua creazione a causa dell’esplosione dell’impianto nucleare di Chernobyl nel 1986. Sembra che l’ultima volta che un reporter gli ha parlato sia nel 2021, quando un giornale in lingua russa pubblicato in Kazakistan lo contattò presso la sua abitazione a Slavutich, in Ucraina, una città costruita appositamente per ospitare il personale evacuato da Chernobyl.
Non sono riuscito a contattare Korneyev per un’intervista, ma è possibile mettere insieme vari indizi presenti nelle foto per spiegare l’immagine. Ho osservato tutte le altre didascalie di foto simili del nocciolo distrutto ed erano tutte scattate da Korneyev, quindi è probabile che questa immagine sia un autoscatto alla vecchia maniera. La velocità dell’otturatore era probabilmente un po’ più lenta rispetto alle altre foto per permettergli di mettersi nella posizione giusta, e questo spiega perché sembra che si stia muovendo e perché il bagliore proveniente dalla torcia elettrica pare provenire da un flash. Lo sgranamento della foto, tuttavia, è probabilmente dovuto alle radiazioni.
Per Korneyev, questa particolare missione fu solo una delle centinaia di pericoli che affrontò intorno al nocciolo dalla prima volta in cui arrivò sul posto nei giorni successivi all’esplosione iniziale. Il suo primo lavoro fu di localizzare i depositi di combustibili e di determinarne i livelli di radiazione. Poco dopo, cominciò a guidare le missioni di ripulitura. Più di 30 lavoratori morirono a causa della Sindrome da Radiazione Acuta durante l’esplosione e le operazioni di ripulitura. Malgrado la forte esposizione, Korneyev continuò a tornare dentro il “sarcofago” costruito frettolosamente, spesso accompagnato da giornalisti per documentare i pericoli.
Nel 2001, portò un reporter della Associated Press di nuovo al nocciolo, dove le radiazioni erano ancora altissime. Nel 2009, Marcel Theroux, noto romanziere, scrisse un articolo per Travel + Leisure sul suo viaggio al sarcofago e sulla sua guida, un matto senza maschera che lo prendeva in giro per la sua inquietudine definendola “puramente psicologica”. È probabile che si trattasse di Korneyev, perché ripropose lo stesso atteggiamento in un articolo sul New York Times.
Le notizie su di lui sono attualmente confuse. Quando il Times lo contattò un anno e mezzo fa, stava lavorando al progetto di costruzione di un arco da 1.5 miliardi di dollari destinato a tappare il sarcofago deteriorato e a prevenire la dispersione degli isotopi nell’aria. Quando era sui 65, era malato e gli era stato impedito di ritornare al sarcofago dopo anni di radiazioni.
Ma il sense of humor di Korneyev rimase intatto e sembrava non avere rimpianti sul lavoro della sua vita.
Questa storia, che risale al 2016, è stata aggiornata nel 2022 per aggiungere informazioni su Artur Korneyev.
Breve, ma interessante approfondimento su Ansa Magazine: “L’uomo che si è calato nell’inferno”, con il video impressionante “Sergey nel reattore a caccia di radiazioni con il contatore geiger”.
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