
Si pensava che il leggendario catalogo stellare dell’antico astronomo greco Ipparco fosse andato perduto. Ne sono state invece trovate tracce in una pergamena medioevale.
da un articolo di Jo Marchant
Scientific American, 20 ottobre 2022
Immagine: Monastero di Santa Caterina, penisola del Sinai, Egitto; nella sua biblioteca è stato ritrovato un palinsesto contenente le coordinate stellari del catalogo di Ipparco (© AGF). via Le Scienze.
Una pergamena medievale del monastero egiziano ha restituito un tesoro sorprendente: nascosto tra testi cristiani, degli studiosi hanno scoperto – dopo averlo cercato per secoli – quello che sembra essere parte del catalogo delle stelle, perduto da tempo, dell’astronomo Ipparco, e ritenuto il primo tentativo di mappare la volta celeste.
James Evans, storico dell’astronomia dell’Università di Puget Sound di Tacoma, Washington, descrive la scoperta come una notevole rarità. L’estratto della ricerca è pubblicato online questa settimana sul Journal for the History of Astronomy.
Evans sostiene che si tratta della prova che Ipparco, spesso considerato il più grande astronomo dell’Antica Grecia, ha davvero mappato il cielo secoli primi di altri tentativi conosciuti. La scoperta illumina anche il momento cruciale nella nascita della scienza, quando gli astronomi passarono dalla semplice descrizione dei modelli che vedevano nel cielo alla loro misurazione e previsione.
Il manoscritto proviene dal Monastero greco-ortodosso di Santa Caterina, ma la maggior parte delle sue 146 pagine sono attualmente custodite dal Museo della Bibbia di Washington DC. Contengono il Codex Climaci Rescriptus, una raccolta di testi siriaci scritti tra il X e l’XXI secolo, ma si tratta di un palinsesto.
[palinsèsto, s. m. (dal lat. palimpsestus, gr. παλίμψηστος «raschiato di nuovo», comp. di πάλιν «di nuovo» e ψάω «raschiare»). Manoscritto antico, su papiro o, più frequentemente, su pergamena, il cui testo originario è stato cancellato mediante lavaggio e raschiatura e sostituito con altro disposto nello stesso senso (in genere nelle interlinee del primo), o in senso trasversale al primo; tale consuetudine, documentata già in età classica e diffusasi più largamente, soprattutto per la rarità della pergamena, in età medievale nei grandi centri scrittorî (per es., a Bobbio), è stata causa della perdita di opere di grande valore, anche se la lettura, almeno parziale, della scrittura sottostante dei palinsesti è stata resa possibile in passato mediante particolari reagenti chimici, e facilitata oggi dal ricorso ai raggi ultravioletti, metodo più efficace e innocuo. Fonte: http://www.treccani.it]

Un foglio del Codex Climaci Rescriptus (© Peter Malik)
Si riteneva che la scrittura più antica contenesse altri testi cristiani e, nel 2012, il biblista Peter Williams della University of Cambridge, UK, chiese ai suoi studenti di esaminare le pagine nell’ambito di un progetto estivo.
Uno di loro, Jamie Klair, individuò inaspettatamente un passaggio in greco spesso attribuito a Eratostene.
Nel 2017, le pagine vennero nuovamente analizzate con strumentazioni più avanzate di multispectral imaging:
i ricercatori della Early Manuscripts Electronic Library a Rolling Hills Estates, California, e della University of Rochester di New York hanno scattato 42 foto di ogni pagina delle radiazioni sulla base di diverse lunghezze d’onda [la lunghezza d’onda (λ) è la distanza tra punti ripetitivi di una forma d’onda] e utilizzato algoritmi per trovare combinazioni di frequenze che evidenziassero il testo nascosto.
Le immagini di nove pagine hanno rivelato materiale astronomico e, analizzate attentamente da William nei mesi del lockdown provocato dal coronavirus, ne è emersa una di un solo foglio che presentava caratteristiche ancora più insolite. Avvisato lo storico della scienza Victor Gysembergh del centro nazionale di ricerca scientifica, il CNRS di Parigi, questi si accorse subito della presenza di coordinate stellari. Lo decifrò insieme suo collega Zingg della Sorbona, e fu chiaro che stabiliva la lunghezza e la larghezza in gradi della costellazione Corona Boreale e indicvaa le coordinate delle stelle alle estremità nord, sud, est e ovest. Numerose prove permettono di stabilirne l’autore: Ipparco.
Finora, spiega Evans, l’unico catalogo delle stelle sopravvissuto all’Antichità era quello compilato dall’astronomo Claudio Tolomeo ad Alessandria, Egitto, nel II secolo a.C. Il suo trattato Almagesto, uno dei testi più importanti della storia, illustrava un modello matematico del cosmo, con la Terra al centro, che fu riconosciuto per oltre 1200 anni, ma forniva anche le coordinate e la grandezza di più di 1000 stelle. Tuttavia, in molte fonti antiche, si parla di Ipparco – che lavorava a Rodi tre secoli prima, tra il 190 e il 120 a.C. – come del primo misuratore delle stelle.
[…] I ricercatori ritengono che la lista originale, come quella di Tolomeo, dovesse includere osservazioni di quasi tutte le stelle visibili in cielo. Senza un telescopio, dice Gysembergh, doveva essere stato usato un tubo ottico chiamato diottra, o una sfera armillare, ma erano osservazioni “che comportavano innumerevoli ore di lavoro”.
Ora i ricercatori sperano che con i progressi delle tecniche per la produzione di immagini riusciranno a scoprire altre coordinate stellari per aumentare i dati da studiare. Molte parti del Codex Climaci Rescriptus non sono ancora state decifrate ed è anche possibile che ci siano altre pagine del catalogo delle stelle da scoprire nella biblioteca di Santa Caterina, dove ci sono oltre 160 palinsesti, la cui lettura ha già dato qualche risultato.
Anche nelle maggiori biblioteche europee ci sono migliaia di palinsesti ai quali potrebbero essere applicate le stesse tecniche di imaging in vista di altre scoperte.
Traduzione libera e in estratto.
Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta il 18 ottobre 2022 su nature.com
Affascinante…!
Ma come mai questi antichi rotoli li chiamano sempre “Codex…”?
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Codex deriva dal latino Caudex, cioè “corteccia d’albero” (anticamente si scriveva anche sul legno ricoperto di cera, su tavolette che poi venivano legate insieme), perciò nei titoli latini si chiamano Codex – codices, e la disciplina che li studia è la codicologia, ma si intende un libro fatto a mano: il manoscritto, che può essere scritto su rotoli di papiro (in latino: volumen), ma che è molto delicato perciò molti testi sono andati perduti, e su fogli di pergamena ricavata da pelli di animali con processi molto complicati, le cui pagine, a volte, all’interno di uno stesso volume, possono essere fatte con pelli di animali diversi a seconda del tipo di manoscritto.
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Ti ringrazio per la descrizione dettagliata!
Più volte mi capitava di leggere questa parola (es. ritrovamento di altri Vangeli) e non capivo perché si chiamassero in questo modo!
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Figurati! Sono abbastanza pratica dell’argomento perché qualche anno fa mi è toccato tradurre un libro di codicologia di 200 pagine dal francese (aaagh!)
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Wow! Immagino che fare la traduttrice inevitabilmente ti fa conoscere una marea di cose!
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