
Una guida conduce il lettore per quartieri postcoloniali e bassifondi di Nairobi, dove i grattacieli e la savana coesistono nel traffico.
da una recensione di Angelo Ferrari
AGI, 30 settembre 2022
Immagine: TONY KARUMBA/AFP, via AGI. Raccoglitori di materiale da costruzione precariamente inclinato in un sito di demolizione, dopo l’abbattimento da parte del governo di un centro commerciale, giudicato illegale in quanto costruito su un letto del fiume nella capitale del Kenya, Nairobi.
La tutela ambientale sfida i limiti della sopravvivenza, come capita anche agli abitanti della città: i progetti di riciclo dei rifiuti coincidono con il recupero della condizione umana degli stessi raccoglitori, recupero di dignità assimilabile al tentativo di restituire una sana ferinità agli animali ormai urbanizzati.

Gli autori del libro Nairobi (Ogzero edizioni), Freddie del Curatolo, un italiano che vive ormai da decenni in Kenya, con la fotografa Leni Frau, conducono il lettore, con uno sguardo acuto, accattivante e spesso ironico, in luoghi dove gli occhi del comune visitatore non arrivano.
Incontrano persone che mai avremmo potuto incontrare, come i raccoglitori di rifiuti, o gli abitanti degli slum che circondano il centro cittadino di Nairobi, per lo più oggetto di un turismo del dolore che di un desiderio di conoscere.
Raccontano, a modo loro, l’amore per questa città che loro stessi spiegano proprio nella prima frase del libro: “Amo Nairobi, perché mi fa fare quel che non vorrei fare”.
Nairobi è una città contradditoria. Questa capitale dell’Africa orientale è spesso associata a baraccopoli e criminalità. E il loro aumento stigmatizza il fallimento delle politiche urbane. Pertanto, è in queste crepe e frange della città che dovremmo cercare le identità e le dinamiche che hanno plasmato Nairobi per un secolo.

via architetturaecosostenibile.it
Attraverso un viaggio negli spazi urbani, gli autori scardinano i luoghi comuni dell’immaginario occidentale e invitano a superare gli stereotipi da “safari cittadino”, grazie a visioni di immagini e parole che non lasciano spazio al buonismo e compongono un preciso ritratto socio-antropologico.
I testimoni di questa umanità sono calati negli odori, nei gusti, nei colori e nei materiali che costruiscono la città. Grazie a questa matericità non si sente il bisogno di analisi azzardate, ma tutto è sotto gli occhi: è sufficiente leggere i racconti di aneddoti ed eventi alla base della nascita di uno snodo commerciale che trae sviluppo dal crogiolo di comunità eterogenee, che lo rendono quel “bel casino che non cambierà mai”.
Nairobi è una capitale d’Africa che si affaccia al 2022 con carattere da vendere e con un guardaroba che risponde alle diverse aspettative del galateo della modernità in una qualunque importante città africana, americana, europea o dell’Asi.
A ogni ora del giorno o della notte, crypto-valute, mobile-money e banconote all’antica cambiano rapidamente proprietario a Nairobi. A prescindere dal volume del portafoglio individuale, i cittadini della capitale sono cittadini del mondo; contribuiscono al processo di emancipazione della città, all’economia del paese e a corroborare un’identità e una cultura che hanno radici sempre più affondate in sé stesse, piuttosto che nelle esperienze altrui.

Dall’alto del KICC, un tempo l’edificio più elevato del continente e oggi cima minore nello skyline della città, l’osservatore superficiale potrebbe pensare che a Nairobi sia in vigore quell’apartheid urbano, che separa i ricchi dai poveri. L’orizzonte è infatti interrotto dai grattacieli, tagliato da strade sopraelevate, maculato da ricordi della foresta ancestrale così come da aree residenziali di prim’ordine che si alternano ad altre aree ad altissima densità di popolazione, altrove dette slum. A uno sguardo più attento, queste aree iper-popolate sfuggono alle semplificazioni dello sguardo e custodiscono invece vicende umane e sociali complesse, figlie di un terreno fertile capace di dare frutti. Atrio delle migrazioni interne dai villaggi verso la capitale e viceversa, gli slum ospitano i funzionari dell’economia informale, pilastro sottostimato nelle vicende economiche del paese.
Andrea Bollini, Liaison officer di Amref Health Africa, testimonianza raccolta dagli autori del libro.

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