Si può ancora vedere qualcosa davanti alla Gioconda?

Gli storici dell’arte Didi-Huberman e Daniel Arasse hanno riflettuto sulla difficoltà di vedere qualcosa davanti al quadro di Leonardo. Il modo di esporre la tela ne avrebbe fatto una star, rendendola invisibile.

LA PIÈCE JOINTE, di Romain de Becdelièvre
Radio France, France Culture, 16 marzo 2022

Immagine: il Louvre dopo la riapertura nel luglio del 2020. Crediti: Chesnot/Getty

Nel 1990, lo storico dell’arte Georges Didi-Huberman pubblica un saggio intitolato Devant L’image (*), in cui – oltre ad affrontare questioni riguardanti la storia dell’arte – sviluppa una teoria sulle nozioni di visibile, invisibile e visivo. All’improvviso, alla fine di un capitolo, spunta bruscamente il quadro della Gioconda, e le critiche diventano severe.

Un’opera d’arte diventa celebre? Si farà di tutto per renderla visibile, “audiovisiva”, e altro ancora se fosse possibile, e tutti noi verremo a vederla, il bell’idolo immortale, restaurata, disincarnata, protetta da un vetro antiproiettile che ci restituirà il riflesso di noi stessi…

e aggiunge in una nota a piè di pagina:

Allora andate davanti alla Gioconda, se è una folla di turisti riflessi sul vetro che volete guardare. Sarà un effetto visivo in più, associato al culto reso all’immagine?


(*)
Il libro rivolge una critica posata e riposata alle nostre certezze davanti all’immagine. Come guardiamo? Non soltanto con gli occhi, non soltanto con lo sguardo. Vedere fa rima con sapere, il che di suggerisce che l’occhio selvaggio non esiste, e che cogliamo le immagini anche con delle parole, attraverso processi di conoscenza e categorie del pensiero.
Da dove vengono queste categorie? È questa la domanda posta alla storia dell’arte come disciplina, il cui sviluppo attuale sembra autorizzare quel tono sicuro così spesso mostrato dagli esperti. Ora, cos’è un sapere quando conduce a questo Proteo che chiamiamo immagine? La questione esige che che si faccia chiarezza sulla “filosofia spontanea” o i modelli discorsivi impiegati quando si cerca, davanti a un’opera, di trarne, perfino di carpirne una conoscenza.
Tra vedere e sapere scivolano spesso parole magiche, i filtri di una conoscenza illusoria: risolvono i problemi, danno l’impressione di comprendere. Vasari, il primo storico dell’arte, ne ha inventate di famose che ancora fanno parte del nostro vocabolario. Panofsky, il “riformatore” novecentesco della storia, le ha restaurate in un altro senso, in nome dell’umanesimo e di un concetto ancora classico della rappresentazione.
[…]
A un certo punto [da Freud in poi], l’equazione, metafisica o positivista, del vedere e del sapere cede il posto a qualcosa come un principio di incertezza, come un’assoggettamento dello sguardo al non-sapere. Qualcosa che ci mette davanti all’immagine come a ciò che si sottrae alla vista, in una posizione instabile, ma alla quale bisognava pensare come tale per collocarla malgrado tutto in un progetto di conoscenza – un progetto di storia dell’arte.

da © Les Éditions de Minuit
(trad. it. Davanti all’immagine. Domanda posta ai fini di una storia dell’arte, a cura di Matteo Spadoni, Mimesis, 2016)


Qualcuno ravviserà in queste parole un po’ di snobismo… Il culto della Gioconda come “star” equivale a nasconderla, renderla invisibile, come invisibili e visibili sono le star in carne e ossa. Il vetro antiproiettile che la protegge rimanda instancabilmente e imperturbabilmente ai visitatori il loro proprio riflesso…
Questo specchio dei turisti fa pensare alla serie di immagini “Audiences” del fotografo inglese Thomas Struth, realizzate negli anni 2000. L’artista aveva avuto l’idea, semplice e geniale, di collocare una macchina fotografica accanto alle opere esposte all’Hermitage o alla Galleria degli Uffizi, per riprendere il movimento e lo sguardo dei gruppi di visitatori internazionali intenti a contemplare i capolavori esposti: i turisti, e i loro sguardi, diventano opere che a loro volta si possono guardare. Uno specchio posato ai piedi dell’arte stessa.

Ma torniamo alla Gioconda, la star invisibile. 
Prima della spettacolare rivoluzione commerciale delle immagini, questa posizione di star era stata conferita all’opera dalla pletora dei suoi commentari nel corso dei suoi cinque secoli di vita, da Giorgio Vasari a Kenneth Clark, a quelli degli specialisti di altre discipline: da Sigmund Freud a Paul Valéry
Un altro storico dell’arte, il maestro dei dettagli Daniel Arasse aveva vissuto un’esperienza di mutismo davanti alla Gioconda e ai discorsi che la circondavano. L’autore di On n’y voit rien (trad. it. Non si vede niente. Descrizioni, Einaudi 2013) ha confessato di non aver visto niente per molto tempo davanti alla tela di Leonardo. 

7 risposte a "Si può ancora vedere qualcosa davanti alla Gioconda?"

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    1. Macciairaggione, come se disce a Rrroma! Io l’ho vista, sia prima che dopo il vetro.
      Preferisco la versione di Duchamp e sono molto stupita che ‘sti francesi non l’abbiano manco menzionata.
      Non solo, c’era scritto “Ermitage à Moscou”!!! Bah, mi delude pure la radio francese.
      Parigi? Non ti preoccupare, non è lontana!

      Piace a 1 persona

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