
All’interno del movimento futurista erano due gli atteggiamenti ideologici: uno nazionalista e l’altro anarcoide, con colorature socialisticheggianti: una sorta di divisione interna fra destra e sinistra che però non si nota a livello creativo.
da un articolo di Guido Michelone
Giacomo Verri Libri, 30 settembre 2021
In entrambi i casi il futurismo all’inizio è un movimento compatto avente quale obiettivo primario la distruzione del cosiddetto passatismo, che ad esempio in pittura concerne l’accademia, il gusto classico, la morale borghese, l’arte consolatoria. È solo dopo la Marcia su Roma con la dittatura di Benito Mussolini che il futurismo aderisce ufficialmente al fascismo, identificandosi in toto con esso, in una situazione doppiamente paradossale perché da un lato il futurismo è l’unica avanguardia ad aderire a un regime di destra, così come il fascismo è il solo dei totalitarismi (rispetto a nazismo, franchismi, stalinismo) a proteggere, favorire, esaltare, soprattutto nelle arti figurative, un movimento sperimentale.
Dimenticata in fretta nell’Italia del secondo dopoguerra – almeno fino agli anni Sessanta con la riscoperta dello storico dell’arte Maurizio Calvesi – l’estetica del futurismo gode di prestigio e ammirazione negli altri paesi europei e soprattutto negli Stati Uniti, in cui gli studiosi progressisti trovano, specie nei proclami teorici, molte anticipazioni delle cosiddette neoavanguardie.

Ma a intuire la novità futurista esiste già nel 1921 tale Antonio Gramsci il quale, in una nota non firmata, sul giornale «L’Ordine Nuovo» (da lui stesso fondato) il 5 gennaio 1921 scrive:
“I futuristi, nel loro campo, nel campo della cultura, sono rivoluzionari; in questo campo, come opera creativa, è probabile che la classe operaia non riuscirà per molto tempo a fare di più di quanto hanno fatto i futuristi: quando sostenevano i futuristi, i gruppi operai dimostravano di non spaventarsi della distruzione, sicuri di potere, essi operai, fare poesia, pittura, dramma, come i futuristi, questi operai sostenevano la storicità, la possibilità di una cultura proletaria, creata dagli operai stessi”.
Mi ricordo di questo brano di Gramsci, pur se vagamente. Comunque un pezzo consistente del futurismo russo aderì al progetto rivoluzionario sovietico. Mi stupi’ che Gramsci non se ne accorse citandolo.
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Sì, non vorrei sbagliarmi, ma lì si chiamavano suprematisti. Controllerò (sono un’appassionata d’arte ma anche una selvatica pasticciona).
Forse quando Gramsci scrisse quel brano erano tempi di scarse comunicazioni con la “madre Russia”.
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Si, non c’era una comunicazione efficace, non abbastanza, almeno. Il suprematismo aderì al progetto rivoluzionario incondizionatamente, ricordi benissimo. Del resto ne facevano parte Malewitz e Majakovskij.
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Che mi piacciono molto, entrambi!
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Ehhh, grandi.
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Oltre agli aperitivi, abbiamo in comune anche loro e il jazz.
E Hey, Joe? Io ne conosco diverse versioni: hai mai ascoltato quella di Charlotte Gainsbourg?
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Il punto interrogativo è uscito fuori da solo 😀
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E si, siamo a livelli altissimi. 🥂
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Mi pareva di aver trovato il modo di inserire le emoji, ma non ci riesco. Capatosta!!!
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