


Bauhaus: il Balletto Triadico di Oskar Schlemmer. Vivienne Westwood dal punk in poi. E sì, l’Arte nei Simpson.
Immagini:
Oskar Schlemmer: costume per il Balletto Triadico, 1922. Twitter @BauhausMovement.
Vivienne Westwood: London Fashion Week S-S 2013. via Magazine Horse.
The Simpsons/Fox: riferimento a Nighthawks di Edward Hopper, S02E17.
DailyArt Magazine
AA.VV., estratti
Il Balletto Triadico
da Nadine Waldman, 2 gennaio 2022
Bauhaus è molto nota per il design iconico e i contributi al mondo dell’arte, ma anche la danza ha avuto il suo posto, incorporandone i valori: modernità, geometria, sperimentazione e funzione. Soprattutto con Das triadisches Ballett (il Balletto Triadico).

Foto: Ernst Schneider, 1926 (Apic/Getty Images).
Radicato nelle concezioni artistiche e rivoluzionarie della Scuola, ipnotizza con le sue caratteristiche psichedeliche e stravaganti, che non sarebbero fuori posto in una moderna produzione d’avanguardia. Oskar Schlemmer, pittore, scultore e docente della Scuola, creò il Balletto Triadico nel 1922, su musica di Paul Hindemith. L’opera di Schlemmer, da lui definita “matematica artistico-metafisica”, è interamente basata sul “tre“: tre danzatori, tre atti, dodici coreografie e diciotto costumi.

I costumi di Schlemmer, molto elaborati e anticonvenzionali, meccanici e geometrici, esplorano la forma e i movimenti umani, giocando con i temi dell’Europa moderna: l’industrializzazione, gli ingranaggi e la relazione tra gli uomini e la macchina.
Bersaglio della furia nazista, la Scuola fu chiusa nel 1933: Schlemmer fu costretto ad abbandonare l’insegnamento, il suo lavoro finì nel novero dell’arte degenerata e fu in gran parte distrutto durante la guerra. Lui morì di infarto a soli 54 anni nel 1943.

I costumi, così unici, furono fonte di ispirazione per film come Metropolis di Fritz Lang (1927) e per lo stile di David Bowie in Ziggy Stardust.

di David Bowie, 1973. via Daily Mail.
Vivienne Westwood: del punk e di altra moda
da Errika Gerakiti, 11 dicembre 2021
Westwood è una stilista prolifica che si è guadagnata la celebrità portando in passerella lo stile punk prima che diventasse una moda. A quei tempi era in contatto con i Sex Pistols, oggi è una delle leggende dell’industria della moda, ma a ottant’anni è ancora uno spirito inquieto e non cessa di stupire con la sua arte veramente unica e ribelle.

Nata nel 1941 in un villaggio inglese del Derbyshire, da adolescente Vivienne Westwood si trasferì con la famiglia a Londra per diventare maestra di scuola. Nel 1962 si sposò, ma il matrimonio finì quando incontrò Malcolm McLaren, il manager dei Sex Pistols, che la aiutò a trasformare la sua inquietudine in creatività.
Rifiutò la cultura hippie degli anni ’60 e, insieme al nuovo marito, disegnò abiti ‘rock’ per i giovani, vendendoli nel negozio che lui aveva a Chelsea.



Pirate, 1981-1982, Victoria & Albert Museum, Londra.
Buffalo Girls, 1982-1983, National Gallery of Victoria, Melbourne.
Witches, 1983-1984. Christie’s.
Quando il movimento punk diventò mainstream, dopo una crisi creativa passò all’alta moda, ma non perse mai l’eccentricità che la distingueva.
La sua prima collezione a calcare le passerelle si chiamava Pirate (AW ’81), celebrazione romantica di bucanieri, corsari, dandy, ecc. del passato, influenzata dai ritratti del XVII e XVIII secolo.
Sempre più indipendente da McLaren, si interessò ai costumi storici con riferimenti alle culture tradizionali sud- e nord-americane e realizzò la collezione Buffalo Girls/Nostalgia for Mud (AW ’82).
Nel 1982, fu la volta della collezione Punkature, che segnò la rottura con McLaren e la sua affermazione come designer per la prima volta. L’ultima collezione che realizzarono insieme fu Witches (AW ’83), ispirato al voodoo haitiano. In realtà, celebrava l’arte di Keith Haring.
Negli anni ’80 e ’90, Westwood trasse ispirazione da vari periodi storici con le sue collezioni Mini-Crini (SS ’85), Time Machine (AW ’88), Cut, Slash, and Pull, Anglomania (AW ’93), Café Society, Les femmes ne connaissant pas toute leur coquetterie.

Molti giudicarono il suo stile non commerciale e troppo teatrale, ma lei non si lasciò scoraggiare: aveva già ottenuto l’approvazione dell’industria della moda, le sue idee si affermavano rapidamente e le vendite andavano bene sia nei negozi londinesi che sui mercati internazionali.

La stilista è nota anche per il suo attivismo, attraverso campagne con importanti organizzazione su temi legati all’ambiente, al cambiamento climatico, alle libertà civili, al disarmo nucleare, ecc., e il suo sostegno al Green Party in Inghilterra e Galles, il suo impegno politico su terrorismo, democrazia e propaganda.
L’arte nei Simpson
da Bruno Guerra, 17 dicembre 2021
Nel libro Bart Simpson’s Guide to Life si legge: “I musei sono i nostri luoghi sacri della cultura, ma non prendertela con loro. Ci vuole rispetto, fratello. Quindi la prossima volta che vi trascinano in uno di questi vecchi postacci polverosi, ricordati di fare il bravo”.

Homer artista
Forse uno dei primi episodi che vengono in mente pensando all’arte e ai Simpson è Mom and Pop Art (S10E19), quando Homer, nel tentativo di montare un barbecue comprato al centro commerciale, in un impeto di rabbia finisce per creare un pasticcio che somiglia a un’opera d’arte moderna. Ma presto capisce che l’arte è qualcosa di più difficile rispetto a farsi trascinare dalla furia e accidentalmente produrre qualcosa, quindi va a guardare opere d’arte famose al Museo di Springfield in cerca di ispirazione.



Bart-Art
Nell’episodio The Crepes of Wrath Bart, spedito nella campagna francese per uno scambio studentesco (anche se in realtà veniva sfruttato come vignaiolo), durante un giro in moto per la Francia, attraversa un paio di paesaggi che un attento osservatore riconoscerebbe facilmente come noti dipinti.


Simpson Americana
Secondo Emily VanDerWerff, critica dell’arte, I Simpson usano l’arte come parte del loro distillato di cultura, specificamente quella americana del XX secolo, che si può osservare in molti esempi dell’arte di quel periodo e luogo: questo – aggiunge – è un arricchimento per l’arte, ed è un fenomeno che si verifica ogni volta che la cultura di massa si appropria di un’opera.


Arte per tutti
C’è comunque un caso diverso da tutti gli altri in cui un’opera d’arte è il perno centrale di un episodio: Homer is where the art isn’t (S29E12) che racconta l’ossessione di Homer per il dipinto La poetessa di Joan Miró: fa di tutto per ammirarne e apprezzarne la bellezza, al punto da essere il primo sospettato del furto dell’opera. Homer che coglie la pienezza del quadro vive la stessa esperienza che può capitare a molti nel visitare un museo o una galleria, e questo ci ricorda che l’arte può essere davvero per tutti.

Questi sono solo alcuni esempi, mentre I Simpson hanno, al momento, superato la 33esima stagione, mostrando – o nascondendo – più riferimenti all’arte di quanti possano essere elencati qui: un’altra ragione per fare più attenzione la prossima volta che guardiamo la nostra famiglia preferita di Springfield.
Rispondi