Tucidide: l’Uomo e la Tirannia

L’orazione funebre di Pericle è il discorso più famoso della storia della Guerra del Peloponneso di Tucidide e, probabilmente, della storia occidentale.

brani da un articolo di Paul Krause
Merion West, 2 dicembre 2020

Un discorso seducente che, innanzitutto, colpisce la moderna sensibilità liberale per la sua distinzione tra privato e pubblico, la promozione della tolleranza e l’apparente trasparenza politica e sociale.

È diventato un luogo comune definire Tucidide come il primo storico obiettivo, ma questi brani isolati non chiariscono la portata più ampia e profonda del suo lavoro. Tucidide dovrebbe essere considerato un filosofo (e un filosofo politico) al pari di Socrate, Platone e Aristotele.

La storia della Guerra del Peloponneso affronta almeno tre grandi temi: la “legge di natura” dalla quale tutto deriva; la grandezza, la caduta e la tirannia di Atene; la giustizia vittima della natura e che perciò se ne separa.
Lo storico non usa un metodo scientifico, ma mostra l’ampiezza e la profondità di uno studioso della condizione umana e dell’animo umano nel suo intimo. Non fa ricorso alla dimensione sovrannaturale, ma cerca risposte nel profondo della natura e della psicologia umana.

Tucidide non appoggiava la democrazia ateniese: siamo noi moderni che abbiamo stabilito un legame tra la democrazia e il bene. La storia della Guerra del Peloponneso mette a nudo la realtà della tirannia di Atene, per quanto fosse uno stato democratico. Nella lettura di Tucidide, tirannia e democrazia vanno di pari passo non tanto perché la democrazia sia intrinsecamente tirannica, ma perché il carattere e la natura della democrazia ateniese era tirannico.


Nel corso dei dialoghi con i Corinzi e gli Spartani, i Corinzi sono i primi a dichiarare esplicitamente che Atene è uno stato tirannico (“polis turannos.”). Nel discorso dei Corinzi, essi legano la tirannia di Atene al suo carattere impetuoso e audace, la stessa audacia lodata dagli ateniesi nel discorso sulla guerra contro gli Spartani. I Corinzi chiudono il loro appello agli spartani dichiarando che insieme possono liberare la Grecia dalla tirannia di Atene.

“Affermiamo che a Maratona noi soli abbiamo combattemmo contro i barbari; e poi, quando vennero per la seconda volta, poiché non potevamo combattere per terra, passammo tutti sulle navi e combattemmo per mare a Salamina: ciò che impedì loro di passare con la flotta da una città all’altra e di devastare il Peloponneso; le cui città, di fronte al gran numero delle navi nemiche, non avrebbero potuto darsi vicendevole soccorso. E di ciò il nemico diede la conferma più valida. Vinto per mare, infatti, si ritirò in fretta con la maggior parte dell’esercito, conscio della sua forza diminuita. Tale fu dunque l’importanza di Salamina, ove si vide chiaramente che la salvezza degli Elleni era dipesa dalla flotta. Vi abbiamo recato, noi, i tre contributi più preziosi: il maggior numero di navi, l’ammiraglio più geniale, l’entusiasmo più ardente. Su 400 navi, ne abbiamo fornite poco meno di due terzi, e Temistocle come capitano, a cui soprattutto si dovette che si sia combattuto nella stretta insenatura, ciò che fu senza dubbio la salvezza”. [1]

Immagini da Ocean4Future.


Nelle pagine che precedono l’orazione funebre di Pericle, Tucidide rivela parte del carattere ateniese: intensità, passione, libertà dai vincoli e impulsività. Nella famosa orazione, Pericle esorta i suoi concittadini a diventare “amanti” (erastai) della città che ancora fa parte dell’immaginario dell’Occidente.

Per quanto riguarda il “carattere”, la differenza fondamentale tra gli Ateniesi e gli Spartani è che i primi si sono liberati dai vincoli e dagli impulsi umani più profondi e oscuri. Di conseguenza, si muovono con costante energia, audacia e astuzia, e così possono dominare il mare, aprire vie commerciali e creare un impero. Sebbene ritenessero che l’impero poteva difendere l’Ellade dai persiani, il che è in parte vero, resta la questione del perché Atene acquisì un impero attraverso le guerre persiane mentre le altre città-stato greche, che pure contribuirono ai combattimenti, non ci riuscirono.
Il contrasto è più evidente con Sparta. Gli Spartani erano i migliori soldati della Grecia, ma non abbastanza audaci come gli Ateniesi. Erano eccessivamente conservatori, come i futuri stoici, e soffocavano ogni passione come un pericolo. Per farla breve, gli ateniesi desideravano l’impero.
Ironia della sorte, i Corinzi informano gli spartani che il carattere degli ateniesi si sarebbe disfatto, perché la loro audacia e sicurezza li avrebbe condotti a una espansione eccessiva e a imprese avventate, con possibili conseguenze disastrose.

Il discorso di Pericle ha lo scopo di creare un’atmosfera di passione e, in una parola, liberare e dirigere l’eros, radicato negli Ateniesi, orientandolo verso l’esterno in una esperienza marziale audace che conquisterà un impero dalla costa ionica alla Libia e, ad ovest, fino all’Italia, alla Sicilia e anche a Cartagine.  Nel momento decisivo dell’orazione funebre, Pericle risveglia l’eros degli ateniesi per portare avanti la guerra elogiando i morti e la grandezza di Atene.  
Pericle fa anche ricorso alla vergogna per mobilitare la cittadinanza; mette i morti su un glorioso piedistallo e li paragona alle nuove generazioni presenti, che dovrebbero essere all’altezza di quella passata per meritare di essere ateniesi. Li umilia, ma in un modo che dovrebbe servire a infondere energia per la guerra imminente, per indurli a prendersi quello che non hanno: la stessa grandezza del passato.

Tucidide non presenta Pericle sotto una luce umana e grandiosa cose noi moderni tendiamo a credere. Ne parla come di un tiranno demagogo, un Robespierre, Hitler, or Lenin prima che esistessero. Il potere tirannico di Pericle e l’Atene di Pericle in generale, sta nella sua capacità di attrarre le masse e orientarne la passione verso scopi esterni. La passione, d’altra parte, non ha confini. L’Eros, come Tucidide non manca di ripetere, è qualcosa soggioga e allo stesso tempo è soggiogato, qualcosa che consuma e soverchia fino al punto dell’auto-annullamento nel suo desiderio di possedere ciò che non ha, e che si lascia annullare dai fedeli che ha risvegliato.

Quando l’eros si scatena in guerra, come l’energica audacia delle imprese militari greche hanno dimostrato, ha la meglio sui suoi oppositori più chiusi, misurati e prudenti che non sono in grado di reggere il passo. Quando l’eros si scatena in politica, come Pericle e altri capi Ateniesi fanno durante la guerra, soggioga le masse e ne guida l’energia verso altri scopi, schiacciando così la loro autonomia.

L’importanza di Tucidide sta nella sua insistenza sull’oscurità psicologica e la profondità dell’animo umano in cui l’eros risiede. Contrariamente ai filosofi post-socratici e ai teologi cristiani, egli conclude che gli uomini sono animali passionali più che esseri razionali. I demagoghi e i democratici di Atene erano uomini che parlavano alla pancia degli uditori. Li liberavano e li usavano. Dopotutto, furono i democratici radicali che rifiutarono insistentemente ogni offerta di pace da parte degli spartani: ambivano alla vittoria totale, ma questo li portò alla sconfitta totale.

La legge, che Tucidide oppone dialetticamente all’eros in tutta la sua opera, è la vittima di tutti gli impulsi, decapitata dal fervore delle masse, dal caos, dalla morte e dalla conseguente distruzione.

Contrariamente a molti pensatori di oggi, Tucidide non attribuisce colpe a al vuoto di leggi, istituzioni e strutture della tirannia: li colloca nel profondo dell’umanità dove possono improvvisamente esplodere in un vortice di sadismo e masochismo, in qualsiasi momento. Questa attrazione per l’energico incantamento e la passione, per l’auto-umiliazione e annichilimento, ma anche per l’audacia, la grandezza e l’astuzia, è presente in ognuno di noi, e dovremmo essere così saggi da recuperare questa scoperta di Tucidide.


Traduzione libera e in estratto.
Articolo originale e completo


[la traduzione del discorso dei Corinzi è tratta da AA. VV., “Storici greci. Erodoto, Tucidide, Senofonte”]

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